Medici e infermieri? Possibile trovare lavoro presto
Medici e infermieri? È possibile trovare lavoro nell’80% dei casi dopo la laurea. La vera domanda che è necessario porsi, però, è legata più che altro alla fattispecie contrattuale.
Infermieri e medici sempre richiesti
Proprio in questi giorni si conclude l’iter di iscrizione alle prove di ingresso ai corsi abilitanti alle professioni sanitarie in diversi atenei. E le prospettive di lavoro, in via generale, sebbene sia presente qualche differenza in base alla regione, non sembrano mancare. Secondo il consorzio Almalaurea, infatti, per quel che riguarda le professioni sanitarie (ovviamente non per i medici, ma senza dubbio per gli infermieri) nell’85% dei casi è possibile trovare lavoro entro un anno.
Numeri che potrebbero quasi far ben sperare, se non si pensa alla tipologia di contratto. La sanità italiana possiede pregi e difetti. Il mondo del lavoro a essa relativo è però più complesso di quel che si pensa. I medici necessitano di seguire un percorso più lungo, caratterizzato poi successivamente da determinate specializzazioni, prima di poter entrare nel mercato del lavoro.
È un problema questo? No. La vera criticità, per quel che li riguarda, al pari di ciò che avviene con gli infermieri, è la tipologia di contratto che viene offerta ai giovani lavoratori. Spesso e volentieri, infatti, le figure dei professionisti sanitari non sono adeguatamente tutelate, sia da un punto di vista generale che da quello economico.
Intendiamoci: la richiesta di infermieri e medici è sempre molto alta. Ciò che non è corretto, in diversi casi, è la tipologia di contratto, che non consente a questi professionisti di essere introdotti nel mercato del lavoro in modo strutturale. Insomma, ci vuole un bel po’ prima che arrivi il classico contratto a tempo indeterminato. Sia in campo privato che attraverso concorsi nel pubblico.
Critica la situazione contratti
E purtroppo questa è una precisazione da fare proprio per via della mancanza di determinate figure professionali all’interno delle strutture, nonostante la richiesta. È una criticità del sistema che necessiterebbe di essere corretta alla base. Soprattutto perché, per motivazioni di tipo economico, determinate persone non possono contare su un’assistenza sanitaria valida e degna delle tasse che vengono pagate.
Quando gli atenei sottolineano che, proprio grazie agli sbocchi, in alcuni casi si deve prevedere un’ammissione in sovrannumero, non si parla però del fatto che anche per quel che riguarda questa professione sanitaria si lavora in buona parte gestendo una precarietà che non dovrebbe esistere.
La domanda che viene da porsi è quindi la seguente: questa percentuale di cosa tiene realmente conto? Solamente dei contratti portati avanti di tre mesi in tre mesi o attraverso cooperative?