Mario Draghi, non per forza IA causa di disoccupazione di massa
Per Mario Draghi il crescere dell’applicazione dell’intelligenza artificiale non porterà per forza alla disoccupazione di massa. Si è espresso così di recente in occasione dell’apertura dell’anno accademico al Politecnico di Milano.
Mario Draghi e l’occupazione
Negli ultimi giorni Mario Draghi ha rilanciato un messaggio chiaro sul rapporto tra l’emergere dell’intelligenza artificiale, il lavoro e il futuro economico dell’Europa, affrontando anche la questione della possibilità di una “disoccupazione di massa”.
Secondo Draghi, non c’è un’inevitabilità che le nuove tecnologie portino a perdere massicciamente posti di lavoro. Ripercorrendo il passato delle rivoluzioni tecnologiche, l’ex presidente della Bce osserva che quei cambiamenti non hanno generato la sparizione definitiva dell’occupazione, bensì l’evoluzione del mercato del lavoro con la nascita di nuove professioni.
Nonostante ciò ammette che la transizione non è mai indolore e che alcuni lavoratori, alcuni ruoli o aree geografiche. possono soffrire più di altri nel processo di cambiamento.
Mario Draghi sottolinea inoltre che la reale posta in gioco non è tanto l’esistenza della tecnologia quanto le politiche che regolano il suo impiego. Secondo l’esperto infatti l’impatto dell’IA sull’occupazione dipenderà dalle scelte di governo. Ma anche dal sistema normativo, dai costi energetici, dalla connettività e dalla capacità di formazione e riqualificazione dei lavoratori.
Solo se queste variabili verranno gestite con lungimiranza, l’IA potrà rappresentare un’opportunità di crescita collettiva.
Pensare bene alla competitività europea

Il discorso di Mario Draghi non ha riguardato solo lavoro e occupazione, ma l’intero futuro produttivo e la competitività dell’Europa. Secondo lui, il divario tra Stati Uniti, Cina e Unione Europea in termini di capacità di sviluppare modelli di IA è già molto ampio. Lo scorso anno gli Stati Uniti hanno realizzato circa 40 grandi modelli fondamentali, la Cina 15, mentre l’Europa solo 3. Se l’Europa non riuscirà a colmare questo ritardo e ad adottare le tecnologie su vasta scala, rischia una stagnazione economica duratura.
L’ex presidente del Consiglio ha ricordato che il profilo demografico europeo con popolazioni che invecchiano e un mercato del lavoro subordinato a bassi tassi di natalità rende essenziale aumentare la produttività.
In questo contesto, l’IA potrebbe rappresentare un’accelerazione decisiva. Ipotizzando una diffusione efficace, la crescita potenziale del PIL potrebbe aumentare di circa lo 0,8% l’anno e in scenari più ambiziosi persino oltre l’1%. Una possibilità, quindi, da non sprecare.
E in tal senso Mario Draghi sottolinea di non eccedere però nelle limitazioni. L’AI Act dell’Unione Europea (la normativa che disciplina l’uso dell’intelligenza artificiale) rischia attualmente di frenare un potenziale enorme. Questo perché impone vincoli rigidi e regolamentazioni complesse che, secondo lui, rischiano di rendere difficile l’adeguamento rapido delle regole man mano che la tecnologia evolve.
Una criticità da risolvere nel minore tempo possibile e con soluzioni adeguate alle necessità.
