Lavoro da casa? Più stressante per i precari
Il lavoro da casa? Più stressante per i precari: lo smart working che ancora oggi sta aiutando le aziende e le pubbliche amministrazioni a rimanere produttive nonostante la pandemia di Covid-19, tutto è fuorché un toccasana per coloro che devono lavorare in simile foggia e non posseggono un contratto stabile.
Senso di precarietà acuito in persone senza contratto stabile
Secondo l’indagine pubblicata sulla rivista Current Psychology in merito al periodo compreso dal 22 marzo al 6 aprile del 2020 su un campione di 600 persone, lo smart working, in particolare per coloro non di un contratto a tempo indeterminato si è rivelato semplicemente essere una ulteriore fonte di stress dato il venire a mancare di molte certezze e dell’accentuarsi della precarietà provata. Lo studio è stato condotto dall’Università de La Sapienza di Roma, gli atenei di Bologna, Trento, Mannheim e dall’Università Pontificia Salesiana. Ha spiegato uno degli autori, il prof. Guido Alessandri:
Un elemento di particolare interesse, fra tutti quelli presi in esame, è la possibilità di lavorare da casa. Chi possedeva un contratto di lavoro a tempo indeterminato, o possedeva comunque una percezione solida della propria posizione lavorativa, ha accolto positivamente questa nuova possibilità. Al contrario per chi avvertiva un forte senso di precarietà e insicurezza lavorativa, è risultata invece molto stressante.
Senza ombra di dubbio i risultati di questa indagine hanno portato alla luce diversi elementi in merito alla reazione psicologica nei confronti del lockdown da parte dei lavoratori italiani: è interessante notare come prima cosa che le percezioni di precarietà e insicurezza lavorativa siano associate a un adattamento emotivo più difficile per chi possedeva un contratto a tempo determinato.
Emersi fattori interessanti di analisi
Per coloro che non percepivano il lockdown come un ulteriore minaccia di precarietà, lo smart working o lavorare da casa ha aiutato ad accrescere positività e coscienziosità. Non solo: sono emerse particolari interazioni tra le percezioni positive e negative derivanti dal lockdown. Un esempio rilevante ne è il modo in cui la positività si è rivelata essere fattore di protezione chiave per la persona, andando ad agire sullo stress provato a causa delle altre criticità.
Chi era positivo nei confronti del futuro o aveva aspettative in tal senso ha mostrato un sentimento di frustrazione, paura e rabbia attenuati proprio da questa positività. I risultati ottenuti hanno dato modo di fare chiarezza sia sulla rete di vulnerabilità che quella di risorse legate ai lavoratori in base alla loro tipologia, hanno spiegato gli autori: motivo per il quale tali dati potranno aiutare a dare vita a interventi di supporto specifici per la categoria presa in considerazione.
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